Metafisica e ontologia

G. Rametta, “Il problema dell’esposizione speculativa nel pensiero di Hegel” (Inschibboleth 2020)

Recensioni

In questa revisione di un testo classico degli studi critici hegeliani –, la cui la prima edizione, che s’intitolava Il concetto del tempo. Eternità e «Darstellung» speculativa nel pensiero di Hegel, fu pubblicata per la Franco Angeli nel 1989 –, Gaetano Rametta approfondisce lo stretto rapporto che intercorre tra pensiero, tempo e linguaggio nella filosofia hegeliana.

Nel capitolo primo, l’autore evidenzia come il problema del linguaggio sia tematizzato differentemente nei frammenti jenesi del 1803-1804 rispetto a quelli del 1805-1806, che costituiscono la base degli scritti sistematici successivi. Nei frammenti del 1803-1804, il linguaggio è considerato il momento del superamento della sensibilità animale e della strutturazione della coscienza a partire dalla contraddizione tra segno e significato: se il segno rimane un che di arbitrario ed esterno rispetto al significato, un qualcosa di posto dal soggetto che mantiene l’oggetto in una condizione di alterità, il suono (Klang), che dilegua nel momento in cui è posto, consente la perfetta identità di significante e significato. L’evanescenza del suono fa sì che il nome si costituisca come supporto espressivo del senso, che in sé si mostra privo di consistenza: dileguando il suono, ciò che permane è il puro significato, in cui si esprime la cosa ormai idealizzata (interiorizzata). Il nesso tra i nomi impedisce che ciascuno si irrigidisca nella propria determinatezza, permettendo che ogni nome sia negato e conservato nella totalità degli altri nomi. Lo iato filosofico tra le due raccolte di frammenti s’insinua a quest’altezza. Nei frammenti del 1803-1804, la coscienza, come superamento dell’opposizione tra soggetto e oggetto, è identica al linguaggio nella forma dell’autocomunicabilità assoluta del concetto: il concetto non è espresso linguisticamente, bensì si rivela essere il linguaggio stesso nella forma dell’autoesposizione. A partire dai frammenti del 1805-1806, il linguaggio viene invece ridotto a mero materiale dell’esposizione, e la differenza tra segno e nome si fa più evanescente. Al contempo, la Darstellung, vale a dire «l’organizzazione in dispositivo epistemico del linguaggio» (p. 40), assume una rilevanza accentuata, giacché l’esposizione del concetto non è più riconducibile alla pronuncia articolata, bensì diviene linguaggio silente, vale a dire scrittura. Il problema che ne deriva è di sensibilità squisitamente fichtiana: la Darstellung risolve la riflessione in esposizione? La risposta hegeliana è affermativa, ma senza che ciò implichi una fissazione intellettualistica delle categorie. Il continuo trapassare dei giudizi fa sì che l’assoluto sia detto senza mai essere totalmente esposto: si dice sempre lo stesso, ma mai compiutamente.

Nel secondo capitolo, Rametta si sofferma a delineare il problema del legame tra la temporalità e l’esposizione speculativa. Anche qui, lo iato tra le raccolte dei frammenti jenesi è notevole, stante che quelli 1805-1806 pongono la precedenza dello spazio rispetto al tempo. A partire da questi frammenti, si comprende come la Darstellung non sia da intendersi quale mero toglimento della riflessione, bensì come sua ricomprensione nel movimento del contenuto: la totalità dell’esposizione ricomprende la riflessione su di sé dell’esposizione stessa, ed è con ciò totalità delle determinazioni concettuali dell’assoluto e totalità della riflessione possibile su tali determinazioni. La temporalità dello speculativo è negazione della cronologia, e in questo senso è zeitlos: il tempo dello speculativo è la negazione della temporalità empiricamente intesa come sommatoria di dimensioni separate. L’eternità non è un altro tempo, ma l’altro dal tempo, vale a dire un presente che non si riduce alla pura presenzialità: l’ora del presente speculativo è immemoriale e non dileguante, superamento circolare e non lineare secondo la forma presente-futuro-passato. Il dilemma filosofico che ne consegue è quello di tenere insieme le nozioni di totalità e di eternità, cioè di comprende come l’eterno si spazializzi, immobilizzandosi. Se tutto è già da sempre, se il risultato è prima del primo, perché vi è sviluppo? Se tale sviluppo non è riducibile all’empiricità del tempo cronologico, come intenderlo? Il movimento delle categorie è eterno: ma che cosa significa un movimento eterno? In che senso la temporalità dell’idea è diversa dalla temporalità della natura? L’esposizione eccede il linguaggio della cronologia, ma non ne ha un altro di cui servirsi. La contraddizione che il linguaggio si trova ad affrontare è già tutta nelle parole di Hegel: la Darstellung è un andare innanzi che è un tornare indietro. Rametta parla di effetto illusionistico dell’esposizione (p. 142): l’esposizione è compiuta proprio nel suo essere costantemente fessurizzata, risultando sfasata rispetto al proprio contenuto: ripetizione dell’identico nella forma dell’apertura al nuovo.

Nel terzo capitolo, l’autore rilegge il problema della temporalità alla luce delle pagine enciclopediche sulla psicologia, che nelle intenzioni di Hegel dovrebbero mostrare il passaggio dalla Vorstellung alla Darstellung. Ripercorrendo il testo, Rametta mostra che, essendo il linguaggio il prodotto più alto della capacità rappresentativa, ne consegue che lo spazio della Sprache risulta intrascendibile: la Darstellung parla non solo la stessa lingua della Vorstellung, ma il superamento che il concetto pretende nei confronti della rappresentazione si attua in un medio (il linguaggio) che è un prodotto della rappresentazione stessa: semplificando, il concetto esibisce il superamento della rappresentazione in una rappresentazione. Ne è una prova il fatto che, seguendo i frammenti jenesi del 1805-1806, Hegel fa del nome un segno, e, intendendo la linguisticità non più come una cesura, bensì come lo sviluppo della semiotica, dà origine a un’antinomia: se il nome è insieme segno e più che segno, la Darstellung è sia Vorstellung che suo superamento. Come duplice era il superamento del tempo nella filosofia della natura (superamento continuo e reciproco di tempo e spazio, cioè esibizione della loro unità come durata, e superamento concettuale della durata nell’eternità del concetto), duplice risulta il superamento del linguaggio (superamento della temporalità sonora e suo irrigidimento spaziale nella scrittura, superamento della significatività rappresentativa nell’interiorità silente dello spirito). Proprio togliendo la cronologia della temporalità empirica, Hegel si vede costretto a ridurre le dimensioni temporali al solo passato della totalità concettuale, reintroducendo lo spazio. La scrittura diviene così una pratica di finitezza, che esibisce l’eterno nel momento in cui mostra in se stessa una deficienza e, conseguentemente, un’eccedenza della totalità rispetto all’esposizione. Da qui la necessità, da Hegel stesso individuata, di una continua rielaborazione della Darstellung, stante l’impossibilità che la scrittura possa tradursi in un movimento ininterrottamente fluente, in cui esposizione grafica e intenzione significante vadano di pari passo: nella scrittura, l’attività del produrre s’interrompe nell’atto stesso in cui è svolta. Frammentaria per natura, la scrittura continuamente si sospende e si riprende. L’inevitabilmente spazializzazione che la scrittura comporta implica la comprensione del dispositivo che permette di ritemporalizzare la Darstellung, vale a dire il Denken: esprimendosi nella scrittura senza esaurirsi, il Denken riattiva il processo dialettico di tempo e spazio. Nel legame necessario tra Denken e Darstellung traluce l’impossibilità di superare compiutamente la dialettica naturale della durata, vale a dire della reciproca continua conversione di tempo e spazio: per non scadere in mera Vorstellung, il Denken deve ripercorrere continuamente la propria Darstellung, superando di volta in volta le figure finite e determinate in cui, esponendosi, si fissa necessariamente.

Nelle osservazioni conclusive, Rametta ribadisce come in Hegel il Denken si svincoli dalla parola corporalmente risuonante, evanescente perché temporale, per farsi silente attività di scrittura, che comunica tacendo, o, meglio, che sempre rimanda a se stessa come unica potenza capace di vivificare lo scritto. Seguendo e riproducendo lo sviluppo delle Denkbestimmungen, il soggetto che pensa purifica l’elemento logico che ha inconsciamente in sé ed elimina tutto ciò che rimanda alla particolarità empirica e al suo arbitrio. L’atto con cui il soggetto si apre liberamente ad accogliere ed esporre il movimento di determinazione categoriale delle cose è ciò che la Darstellung non potrà mai esibire, poiché incarna l’attualità del pensare, empiricamente determinata come decisione del singolo a filosofare. Se è vero che la scienza non ha cominciamento, essendo circolarmente fondata in ogni suo momento dalla relazione che tiene insieme tutte le categorie, pur tuttavia altra è la questione del cominciamento del pensare, la cui necessità non può essere dimostrata: la scienza non ha un cominciamento proprio perché dipende dalla libera conformazione del soggetto allo sviluppo delle determinazioni logiche che costituiscono la cosa. Concludendo, Rametta rileva che, se pensa, il soggetto deve (muss) conformarsi allo sviluppo delle determinazioni logiche: tuttavia, altra è la necessità che costringe il soggetto a subire lo sviluppo immanente delle categorie, altra la necessità che impone che il soggetto deve (soll) pensare.