Metafisica e ontologia

Sull’uomo Nietzsche

Recensioni

Nietzsche non si sente compreso dai suoi contemporanei – «questi non mi ascoltano, e neppure mi vedono» (EH, Prologo, 1) – per questo scrive Ecce Homo, nel quale risuona l’appello «Ascoltatemi! Perché sono questo e questo. E soprattutto non scambiatemi per altro!» (Ibidem).

Eppure, alcuni rari incontri nella sua vita testimoniano almeno in parte il contrario, come l’episodica ma sincera comunione con la studentessa universitaria Resa von Schirnhofer, da lei narrata in prima persona in Sull’uomo Nietzsche (Feltrinelli, 2023), testo che trova la sua prima traduzione integrale italiana a cura di Susanna Mati.

Potrebbe sembrare eccessivo considerare questo breve resoconto biografico una risposta sufficiente al desiderio nietzscheano di essere compreso e non frainteso, soprattutto se si tiene conto – come nota la curatrice nella Postfazione a chiusura del volume – che il rapporto con Resa fu di intensità ben diversa rispetto a quello che il filosofo intrattenne, ad esempio, con Lou Salomé. Se quest’ultimo si configurò come un «impegnativo agon erotico-intellettuale» (p. 65), il primo fu invece un incontro più disteso, amichevole e sereno – con le parole di Nietzsche, Resa è «una creatura divertente, che mi fa ridere, che si abitua facilmente a me» (lettera a Overbeck del 18 agosto 1884).

Non si intende suggerire che il testo della giovane austriaca sia un esempio di risposta esaustiva alla domanda, ricorrente e insistente, che pone Nietzsche: «Sono stato capito?» (EH, Perché io sono un destino, 7, 8 e 9). Seppur studiosa di filosofia – fu tra le prime studentesse in Europa a laurearsi, presentando nel 1889 una tesi sul Confronto tra le dottrine di Schelling e Spinoza – e frequentatrice del circolo di donne intellettuali promosso da Malwida von Meysenbug, a risultare interessante è il suo incontro più con il lato umano di Nietzsche che con quello filosofico. È infatti per sua stessa ammissione che solo due volte, nel corso della loro frequentazione, le si palesò, come un fulmine che squarcia il cielo, un «altro Nietzsche» (pp. 29, 39). Quel Nietzsche che le comunica la portata immane del pensiero dell’eterno ritorno, provocandole spavento, e quel Nietzsche che si affaccia su profondità tanto abissali da suscitargli l’angoscia di un’incipiente follia. Il Nietzsche pensatore furioso, dissacrante, profeta – come forse le era stato descritto da altri – non è l’uomo che lei conosce.

«Lou Salomé mi mostrò la spesso chiacchierata fotografia di studio in cui lei, seduta su un carretto a mano (se ricordo con esattezza), conduce con in mano la frusta gli amici aggiogati dottor Rée e Nietzsche. […] Un Nietzsche, come questa fotografia lo rappresentava esteriormente, di natura tale quale essa mi suggeriva, io non l’ho mai conosciuto» (Resa von Schirnhofer)

Tuttavia, a ben vedere, quest’“altro Nietzsche” il cui affresco emerge dalle memorie a tratti sbiadite, a tratti più intense di Resa, ha il pregio di rispondere proprio a una delle principali esigenze espresse dal filosofo in Ecce Homo. Ossia, quella di prestare attenzione alle piccole cose, come alimentazione, luoghi, clima, svaghi, che «sono inconcepibilmente più importanti di tutto ciò che finora è stato considerato importante» (EH, Perché sono così accorto, 10). E così il lettore si imbatte nella descrizione di passeggiate in montagna, pranzi in osterie con degustazione di vermouth torinese, progetti di un viaggio in Corsica che non avrà mai luogo, e soprattutto nel resoconto di letture, che Nietzsche consigliava alla studentessa o di cui discutevano insieme. Nietzsche considerava la lettura un modo di ristorarsi dalla sua “serietà” e, nei momenti di «gravidanza spirituale» (EH, Perché sono così accorto, 3) in cui sprofondava nel lavoro, non consentiva ad alcuna voce di scrittore di intromettersi nei suoi pensieri. Non è un caso, allora, che tale concitato entusiasmo per la lettura si manifesti in quei giorni passati a Nizza con Resa, nelle vacanze di Pasqua 1884, dal momento che aveva appena consegnato la terza parte dello Zarathustra.

Si trova così ulteriore conferma dell’ammirazione nietzscheana per la cultura francese, in particolare per Stendhal, i fratelli Goncourt, Saint-Simon, Taine, ma anche dell’interesse per gli studi scientifici sull’eugenetica di Francis Galton e, più avanti, la scoperta di Dostoevskij, anch’esso letto in francese. In accordo con l’idea che i buoni pensieri nascono nella natura e in movimento (EH, Perché sono così accorto, 1), Nietzsche e Resa prendono l’abitudine di incontrarsi all’aria aperta. Assistono a un combattimento tra i tori a Nizza, camminano sul monte Boron e poi, in Engadina, visitano la “roccia sacra” di Zarathustra e si recano in un prato solitario nei pressi del lago di Sils, dove Nietzsche «aveva il suo luogo di riposo nascosto, nel quale il poeta e pensatore poteva dialogare indisturbato con se stesso» (p. 35).

Oltre alle piccole e quotidiane abitudini, come quella di tenere carta e penna vicino al letto in caso di illuminazioni notturne, emergono però dal testo anche grandi questioni: in primis, il rapporto con Wagner e il solco profondo che ha lasciato nel cuore di Nietzsche («il sanguinare di una ferita che non voleva più guarire», p. 22). Ma anche la delicata e controversa tematica della malattia mentale: Nietzsche si ristabiliva da giorni di indisposizione, accompagnati da allucinazioni visive di fiori metamorfici, e coglie l’occasione di incontro con Resa per domandarle: «Non crede che questo stato sia un sintomo di follia incipiente? Mio padre morì di un male al cervello» (p. 38). Anche di fronte al ricordo nitido di questo interrogativo, l’autrice conferma l’impressione che l’ispirazione di Nietzsche non fosse un sintomo patologico né manifestazione di mania di grandezza, al contrario, lo considera l’effetto di una «genialità potenziata» (p. 34). L’ultimo, pietrificante incontro è nell’autunno del 1897 con un Nietzsche immobile e apatico, nel quale «sembrava spenta ogni scintilla di vita spirituale» (p. 47).

Il ritratto che Resa ci offre di Nietzsche è, in definitiva, quello di un uomo solitario, sofferente, tormentato da conflitti interiori, eppure all’esterno gentile, incredibilmente sensibile e vulnerabile, «di raffinata cortesia nel modo di pensare e nelle maniere verso il sesso femminile» (p. 15); e ancora, quello di un pensatore profondo, eclettico, capace di «illuminare e lasciar scintillare intelligentemente ogni argomento» (p. 43), con cui intraprendere discussioni eterogenee sui temi più elevati così come su quelli quotidiani, ad esempio un sogno notturno o un mal di testa.

Nietzsche scriveva che il «pathos dell’atteggiamento non appartiene alla grandezza; in genere, chi ha bisogno di atteggiamenti è falso» (EH, Perché sono così accorto, 10). L’uomo Nietzsche conosciuto da Resa conferma tale grandezza, non teme di passare dal sublime al ridicolo, di alternare nel giro di pochi istanti la lettura teatrale del Canto di danza dello Zarathustra a una fragorosa e sincera risata.