Metafisica e ontologia

Sul Concomitante. Metafisica e tecnica della violenza

Recensioni

Un indizio paradossale guida la lettura dell’ultimo volume di Marcello Barison, Sul Concomitante. Metafisica e tecnica della violenza (Meltemi): quello che si configura come uno dei più rilevanti contributi sul pensiero di Martin Heidegger degli ultimi anni, ha in realtà poco a che fare con il pensiero di Martin Heidegger. Non è, questo, il vaneggiamento del critico, ma il tentativo di comprendere a fondo che cosa significa fare autenticamente storia della filosofia. Dopo le parole dello stesso Heidegger, che nell’esergo al volume fa notare, non senza amara ironia, che sarebbe “giunto il tempo di smettere di scrivere su Heidegger” per iniziare “un effettivo confronto” (p. 11), è l’autore stesso a puntualizzarlo nelle primissime righe dell’Avvio: il Concomitante non è qualcosa che appartiene al pensiero heideggeriano, non è un “oggetto storiografico” (p. 17). Esso si ritrova in Heidegger, per così dire, solo per occasione. La storia della filosofia, allora, è tanto più storia della filosofia quanto è meno storia della filosofia, quando, cioè, è già e genuinamente teoresi o, per suonare meno geroglifici, quando coglie nelle incombenze storiche del pensiero le occorrenze del manifestarsi di principi che già stanno ragionando attorno al reale e alle sue strutture. “Perché una voce sia autenticamente filosofia”, dice Barison, “dev’essere stata desiderata a priori dalla filosofia” (p. 19). Una forma di hegelismo mimetizzato si dirà – e forse proprio un più cospicuo confronto con Hegel, che pure è presente, è ciò che manca a questo testo fatto per circoli (Barison stesso riconosce la necessità, su questo tema, di scrivere un ‘altro capitolo’ se non un ‘altro testo’). Storia della filosofia, teoresi, filosofia della storia: tutto sta nel capire cosa sta al centro di questo percorso straordinariamente ricorsivo. E al centro c’è proprio l’occasione-Heidegger e, in essa, il Concomitante.

   Con quale principio, con quale struttura abbiamo a che fare allora quando parliamo del Concomitante? Con una struttura singolarmente circolare e quadripartita, con una relazione che Barison (non Heidegger) identifica nei termini di un’“Unità del Due” e di una “Dualità dell’Uno”, di una “convergenza di divergenti e divergenza di convergenti” (p. 42). La questione cruciale risiede – non è la prima volta – nella copula, in quella lettera e che è il vero punctum del testo di Barison e che di volta in volta, per un fitto gioco di simmetrie, svela come ogni ‘discorso sul metodo’ sia già parte integrante di (se non corrispondente a) un’ontologia fondamentale. Il Concomitante emerge allora proprio quando ci si chiede, storico-filosoficamente, cosa significa trattare del rapporto tra un autore, il proprio passato e il proprio futuro; ma perché tale relazione sia “diversa dalla semplice prossimità storica”, “a senso unico” (p. 43), essa chiede anche, concomitantemente, di indagare il rapporto tra quel passato, quell’autore e il proprio presupposto. Heidegger si relaziona con i greci e con noi, ma concomitantemente i greci si relazionano con Heidegger e con il proprio presupposto. Maniera, quella di Barison, che divincolandosi da ogni banale circolarità ermeneutica, intravede già nel cuore del problema dell’interpretazione di un autore le trame di una struttura che, lungi dall’essere una vuota e artificiosa astrazione del ‘dotto’, è principio metafisico. Vista dalla micro-prospettiva delle correspondances storico-filosofiche essa, per concomitanza, non corrisponde a nient’altro che, dalla macro-prospettiva dell’ontologia fondamentale, al problema dell’Essere e dell’ente, del pensiero e della storia.

Heidegger come occasione, dicevamo. Sciocco è, d’altra parte, criticare Nietzsche per non aver scritto ‘davvero’, con La nascita della tragedia, un libro sulla tragedia attica, così come insensato è rimproverare Heidegger di non essere stato né un attento stilista del verso né un rispettoso filologo quando si è messo a scrivere di Trakl. Ma altrettanto problematico sarebbe dire che quello con i tragici, da parte di Nietzsche, o quello con Trakl, da parte di Heidegger, non sia un confronto ‘esatto’. Ebbene, il lettore riconoscerà questo tipo di giostra concettuale anche nel Concomitante, dove più che mai vero suona quel paradosso che afferma che solo entrando nei meandri dei testi di un autore, con tutte le minuzie del caso, ci si può permettere di parlare d’altro. È per questo che la cospicua parte centrale del testo di Barison si confronta, con uno procedere lento e progressivo, con alcuni dei fondamentali problemi del pensiero heideggeriano dalla techne a dike, dalla physis all’Ereignis. Relazioni di Concomitanza coinvolgono così – al lettore spetta di addentrarsi nei loro orditi – la questione del rapporto tra essere e apparenza, tra physis e poiesis, tra techne e Wissen.

Con tutta probabilità è alla techne che è dedicata, estensivamente, la parte maggiore del contributo, giustificando così la forza di quel sottotitolo (Metafisica e tecnica della violenza) che individua in tutte le implicazioni del problema heideggeriano della tecnica (non solo quelle metafisiche) quanto giustifica gli archi del circolo del Concomitante che proiettano Heidegger verso il pensiero greco e verso la contemporaneità. Intorno a quest’ultimo punto preme spendere qualche parola conclusiva. Sulla contemporaneità infatti Barison, non rinunciando a entrare nel vivo del gravoso dibattito attorno alla filosofia heideggeriana degli ultimi anni (mitigato forse solo dalla fondazione, quest’anno, dell’importante Centro Studi di Critica Heideggeriana) e sulla crociata nei confronti del filosofo che aderì al nazionalsocialismo, articola un ragionamento stratificato e certamente destinato a un clamore ben più terreno della clameur de l’Être di badiouana memoria. La tecnica e, così, la necessità della violenza che l’accompagna, segnano il terribile (ecco uno dei sensi del deinon heideggeriano) e tragico esito dei tempi recenti, in cui lo scopo ultimo della volontà di potenza dell’Occidente, la determinazione del’“l’essere dell’essente su scala planetaria”, “la più piena realizzazione di quest’universalità metafisica planetaria” (p. 152), trova nelle discrezioni della rete, dei social media e in generale nella tecnica informatica la sua più forte risoluzione. Non per virtuosismo intellettualistico Barison ci informa, allora, che tanto lo stasimo dell’Antigone quanto Heidegger parlano del presente: entrambi dicono in modo affatto perentorio qualcosa di spietatamente antitetico ai paradossi e alle ipocrisie dell’Occidente contemporaneo, caratterizzato dal lifestyle, dall’entertainement, dalla retorica ideologica dei movimenti sociali per i diritti, dall’ambientalismo di maniera, dallo xenofemminismo, e in generale da tutti gli ismi che svelano, dietro gli apparenti tentativi di frenare la volontà di potenza del nichilismo, nient’altro che il volto di quello stesso nichilismo che agisce, stavolta, con gli strumenti di una volontà d’impotenza. “Non nichilistico, dunque, sarebbe uscire integralmente dal paradigma definito dalla volontà e dalla potenza, mentre quel che accade è che l’esserci atlantico continua a agire oggettivamente la potenza ponendo soggettivamente la negazione della potenza, cioè volendo l’impotenza” (p. 169). Così la violenza, connaturata ai meccanismi della tecnica, la identifica come ciò che “si mantiene violenta e mira, inesausto, a violare la prevalenza dell’elementare” – e “quanto più l’impulso irrompe con veemenza, tanto più spietata è la ripulsa” (p. 221). Ma la potenza del deinon e quella del deinotaton non sono altro che immagini, ancora una volta, di una superiore Concomitanza. Qui, non altrove, è la tragedia: “tragedia è questo concomitante e insanabile convergere dei divergenti e divergere dei convergenti”, “tragedia è ciò che accade come Relazione di Concomitanza”. “To deinon significa essenzialmente: il Concomitante” (p. 257).