Oltre il mito del monogenere

Discussioni

Ospitiamo un intervento di Davide Assael (presidente dell’Associazione Lech-Lechà) a proposito del dibattito sul ddl Zan.

Anni fa sentii Toni Negri dire che le due più grandi novità prodotte dalla filosofia italiana della seconda metà del ‘900 erano l’operaismo di Tronti e il pensiero femminista della differenza, che ha avuto come massime protagoniste nel nostro Paese Luisa Muraro e Adriana Cavarero, le quali, assieme ad altre filosofe ed intellettuali, hanno poi generato una, ormai due, generazioni di filosofe di grande valore. In questi ultimi mesi alcune di queste filosofe si sono distinte per il contrasto al tanto discusso ddl Zan proprio perché sembrerebbe annullare quella specificità del femminile rispetto al maschile, che è stata la grande conquista della cosiddetta «seconda ondata» del movimento femminista dopo le lotte per l’uguaglianza della generazione delle suffragette. Un’uguaglianza puramente formale rischia, infatti, di tradursi in una reductio ad unum, che finisce col ridurre il femminile al maschile. Questo delicato punto di equilibrio in cui l’uguaglianza si afferma a partire dalla differenza è stato lo sforzo teorico del femminismo, non solo italiano, della seconda metà del secolo scorso. Per quel che vale, personalmente concordo con Negri sul giudizio positivo nei confronti del pensiero della differenza, grande esperienza intellettuale, che tanto ha dato alla filosofia italiana ed europea, aiutando a scardinare gerarchie consolidate sul piano culturale e politico.

C’è, però, un momento in cui ogni filosofia si tramuta in ideologia, allontanandosi dall’esperienza che si ha di fronte in nome della fedeltà a principi che si sono tramutati in dogmi. Mi sembra il caso di questo passaggio relativo al ddl Zan, che ha visto parte del mondo femminista contrapporsi all’articolata galassia trans-intersex, dove non in poch* sentono minacciato il proprio riconoscimento giuridico ed identitario proprio per l’insistenza a mantenere in vita la distinzione maschile-femminile per cui tanto aveva lottato la seconda generazione del femminismo. Non entro nel merito propriamente teoretico del discorso. Sarebbe facile dire che ogni definizione, trans-intersex che sia, si può costruire solo all’interno della polarità che si vede minacciata. Ma credo che argomentando su questo livello riuscirei nell’impresa di inimicarmi entrambi i fronti di questa polemica. Vorrei, invece, concentrarmi brevemente su altri argomenti che vengono addotti a sostegno della critica al disegno di legge discusso in parlamento. In particolare il vecchio argomento della hybris, per cui, in quanto esseri limitati, dobbiamo rispettare i confini a cui la natura ci ha destinati, a cominciare da quello che separa il maschile dal femminile. Naturalmente,  si dice, nessuna discriminazione nei confronti delle persone trans-intersex, ma la dicitura «identità di genere» intesa come auto-percezione del sé (vedi art. 1 del ddl) innescherebbe dei processi degenerativi che metterebbero in pericolo conquiste raggiunte nei decenni precedenti. Davvero non mi è chiaro come la definizione del genere indipendentemente dal sesso biologico possa mettere in discussione la sopravvivenza della donna intesa nella sua specificità, dal momento che la legge non metterebbe a rischio la possibilità di definirsi donna o uomo. Semplicemente aggiungerebbe altre opzioni. Allo stesso modo in cui la possibilità di abortire non mette in discussione la possibilità di non volerlo fare. È lo schema di tutte le battaglie di emancipazione: allargare il campo invece che ridurlo.

Aggiungo, infine, che il riferimento al biologico, anche se scritto fra mille virgolette, mi pare una ricaduta naturalistica coerente con quella concezione rigida del limite alla base delle svolte autoritarie che stiamo vedendo anche alle nostre latitudini. Nel difendere la sua legge contro la propaganda pedofila risoltasi in una difesa della famiglia tradizionale contro tutte le altre forme d’amore, il Premier ungherese Viktor Orbán ha sottolineato come lui non abbia niente contro gli omosessuali, i cui diritti anzi ha difeso come oppositore del regime comunista. Però uguaglianza fra LGBTQIA+ ed etero, beh, questo è andare contro natura. Del resto, si sa, il buon Dio ha creato l’uomo e la donna, tutte le altre varianti sono peccati umani. Ma il riferimento al biologico non era l’argomento che marchiava la donna come costitutivamente umorale e uterina, negandole l’accesso alla vita pubblica?

Sulle critiche di altra natura, non provenienti dal mondo femminista, ma da certi ambienti giuridici non mi soffermo. L’idea, rilanciata anche da Michele Ainis, per cui gay, trans, intersex sono già tutelat* dalle attenuanti generiche è un puro formalismo che non tiene conto della infinita sequela di discriminazioni che hanno inquinato la storia occidentale. Da ebreo posso solo dire che percepisco la Legge Mancino come una presa d’atto di quanto il popolo a cui appartengo ha subito nei secoli per la propria identità. Un’assunzione, che, credo, sarebbe il caso di estendere ad altri soggetti  storicamente discriminati.

Davide Assael (info@lechlecha.me)

Per approfondire:

Puntata di Tutta la città ne parla del 24/06/2021 con F. Izzo, D. Assael, Fumettifurbi, C. Fiacco